15 Dicembre 2023

Haaretz: dubbi sul Protocollo Annibale e i costi della guerra

Protocollo Annibale, le autorità non hanno approfondito perché non c'è "interesse a chiedere conto...". Il caso del kibbuz Be'eri. Qualcosa non torna nei conteggi delle perdite dell'IDF.
Haaretz: dubbi sul Protocollo Annibale e i costi della guerra
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“Se Israele ha utilizzato una procedura controversa contro i suoi cittadini, dobbiamo parlarne ora”. La procedura evocata dal titolo di questo articolo di Haaretz è il “Protocollo Annibale”, norma non scritta in vigore nell’esercito israeliano che legittima l’uccisione di eventuali prigionieri se non c’è altro modo per evitare che siano rapiti. Secondo Noa Limone, che redige la nota, tale protocollo potrebbe essere stato applicato in uno scontro avvenuto a Be’eri durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Protocollo Annibale: tema più che sensibile

Coraggiosa la cronista, perché pone una domanda su uno dei temi più sensibili della narrazione israeliana. Da tempo, penne aliene dal mainstream hanno pubblicato articoli che rivelerebbero tale retroscena, adducendo testimonianze apparse sui media israeliani e documentazione varia. Ma Israele ha negato con veemenza che il suo esercito, nella foga di contrastare l’attacco di Hamas, abbia applicato la controversa direttiva.

Le autorità israeliane non hanno approfondito la questione, scrive la Limone, anzitutto perché non c’è alcun “interesse a chiedere conto a quanti sono intervenuti in soccorso delle vittime del massacro”. In secondo luogo, si rischia di fare il gioco del nemico, che ha usato tale argomentazione per accreditare alla scomposta reazione israeliana la maggior parte delle vittime civili.

Su tale punto, si potrebbe aggiungere una motivazione subordinata, non esplicitata nell’articolo, cioè che, se tale tesi fosse confermata, verrebbe demolita la narrazione del massacro di Hamas, che ha assunto ormai un valore sacrale che non consente apriori dubbi e domande. Peraltro, diversi sopravvissuti si ritroverebbero a piangere defunti che potrebbero esser stati uccisi dal fuoco amico.

Ma per tornare all’articolo della Limone, secondo lei l’ultimo motivo per cui tale tema non può essere approfondito è che metterebbe in dubbio la moralità dell’esercito. Infatti, scrive la cronista, in realtà il protocollo Annibale non legittima l’uccisione di prigionieri caduti in mano nemiche, ma “molti ufficiali e soldati lo interpretano in questo modo”. In parole povere non si vuole far emergere tale interpretazione, che susciterebbe scandalo nell’opinione pubblica israeliana (e altrove).

Il caso del kibbuz Be’eri

Nello specifico, la Limone riferisce un caso nel quale tale direttiva potrebbe esser stata applicata: “Gli unici due sopravvissuti alla cattura di ostaggi avvenuta a Be’eri il 7 ottobre hanno l’impressione che le forze di difesa israeliane abbiano utilizzato la cosiddetta Direttiva Annibale nei riguardi delle persone tenute in ostaggio da Hamas all’interno di una delle case del kibbutz”. Nella casa c’erano 40 miliziani di Hamas, che avevano preso in ostaggio 14 civili, “due dei quali bambini”.

In una pausa intercorsa durante il primo scontro a fuoco, racconta la cronista, Hamas aveva liberato Yasmin Porat, la quale aveva rivelato ai soccorritori il numero degli ostaggi presenti nella casa. Quindi, il comando delle operazioni è passato a un generale, che avrebbe ordinato a un carro armato di aprire il fuoco sulla casa. Due i colpi, uno indirizzato a terra, l’altro sul tetto della casa, un solo sopravvissuto, Hadas Dagan. Sia la Porat che Dagan concordano su tale versione dei fatti.

La Limone chiede con forza che sia aperta un’inchiesta sulla vicenda e se in questo caso, o in altri, in quel fatidico giorno sia stato applicato il protocollo Annibale.

Ma le autorità israeliane hanno chiarito che quanto avvenuto in quel giorno, in particolare il mancato rafforzamento delle difese nonostante i ripetuti allarmi, sarà oggetto di analisi solo alla fine della guerra. Così la richiesta della cronista resterà inevasa, anzi è probabile che quanto ha scritto venga insabbiato al più presto o smentito con forza.

C’è troppo in gioco e fortissima la pressione ad attenersi alle comunicazioni ufficiali e la censura. Esemplare, in tal senso, un titolo di Haaretz: “Gli israeliani non vedono le immagini di Gaza perché i nostri giornalisti non fanno il loro lavoro”.

I feriti

Anche i costi della guerra sono oscurati. Sempre Haaretz, alcuni giorni fa ha rivelato che i soldati feriti nella campagna di Gaza sono molto più numerosi di quelli dichiarati dalle autorità. Una discordanza emersa da un’inchiesta del giornale, che annota: “Ad esempio, solo il Centro medico Barzilai di Ashkelon riferisce di aver curato 1.949 soldati feriti nella guerra dal 7 ottobre (su 3.117 feriti curati in loco durante la guerra), mentre secondo l’esercito il numero totale dei  soldati feriti è 1.593”.

“Assuta Ashdod – prosegue il giornale – avrebbe curato 178 pazienti, Ichilov (Tel Aviv) 148, Rambam (Haifa) 181, Hadassah (Gerusalemme) 209 e Sha’arei Tzedek (Gerusalemme) 139. Inoltre, circa altri 1.000 soldati sono stati curati presso il Centro medico Soroka di Be’er Sheva, mentre altri 650 sono stati curati presso il Centro medico Sheba a Tel-Hashomer”.  Certo, anche i dati ospedalieri possono essere ingannevoli – doppie registrazioni, malori comuni e altro – ma non tali da giustificare questo divario. Sulla controversia, però, lamentano i responsabili sanitari, è stato posto un freno, dal momento che le autorità hanno chiesto agli ospedali di conformarsi ai comunicati ufficiali.

Altro particolare che interpella, la notizia, rilanciata il 12 dicembre, che 13 soldati uccisi a Gaza erano stati per errore scambiati per miliziani di Hamas (Haaretz). Un errore impossibile, dal momento che tutto, nella Striscia, è monitorato al metro quadro… possibile che in precedenza si siano registrati altri errori similari non rivelati?

I veicoli distrutti

Altro particolare che suscita domande è il fatto che l’IDF non dia conto, almeno nelle notizie diffuse al pubblico più ampio, dei carri armati e degli altri veicoli, corazzati o meno, distrutti nelle operazioni di Gaza. Chi segue la guerra ucraina sa quanto siano vitali tali informazioni e come siano divulgate dettagliatamente dalle parti, con ovvi aggiustamenti dettati da motivi propagandistici.

Il particolare appare ancor più rilevante se si tiene conto dei filmati che girano sul web, nei quali si vedono molti tank e veicoli israeliani colpiti da Hamas e spesso distrutti. Se fossero vere le cifre pubblicizzate da Hamas, che parlano di centinaia di veicoli, sarebbe un’ecatombe. Cifre probabilmente esagerate. Restano, però, i filmati e l’inspiegabile silenzio dell’IDF.

Non si tratta di magnificare i successi di Hamas, anche perché stiamo parlando di vite spezzate da una guerra assurda. E le vite degli israeliani valgono quanto quelle dei palestinesi, anche se questi ultimi registrano perdite esponenzialmente più rilevanti, soprattutto tra i civili, di cui 7mila sono solo bambini, cifre che risultano inaccettabili al mondo intero meno agli USA.

Si tratta, però, di registrare, come fa il Wall Street Journal, che i costi della guerra per Israele sono alti, probabilmente più alti di quanto si aspettasse. Non sappiamo se la consapevolezza di tali costi possa favorire la fine del conflitto come avvenuto in precedenti scontri con Hamas, anche perché la guerra in corso ha un significato altro dalle precedenti, così che l’opinione pubblica israeliana sembra disposta ad accettare perdite molto più elevate rispetto al passato.

Ma anche tale accettazione ha sempre dei limiti imposti dalla realtà. Il punto è che la censura di Stato, pur se più o meno necessitata in tempi di guerra, impedisce ai cittadini israeliani di interpellarsi se tali limiti siano stati raggiunti o meno.

Ps. Un articolo di Ynet riferisce il comunicato dell’IDF che ha dichiarato che 20 soldati caduti a Gaza sono stati rimasti vittime del fuoco amico. Nella nota anche un cenno alle vittime del fuoco amico di quel fatidico 7 ottobre: “Le vittime del fuoco amico sono diminuite dopo il 7 ottobre, ma l’IDF ritiene che, al di là delle indagini operative sugli eventi, non sarebbe moralmente corretto indagare su quegli incidenti a causa dell’immensa e complessa quantità di eventi accaduti nei kibbutz. e presso le comunità israeliane nel sud, a causa delle difficili situazioni in cui si trovavano a operare i soldati in quel momento”.